Le neuroscienze confermano l’efficacia della terapia psicoanalitica

Le neuroscienze confermano l’efficacia della terapia psicoanalitica

Nel settembre del 2015 è uscito un articolo, che qui di seguito vi propongo, nel quale viene confermata, da parte delle scoperte neuroscientifiche, l’efficacia delle terapie psicodinamiche di orientamento psicoanalitico sul nostro cervello. La terapia della parola aumenta le connessioni tra i neuroni, favorendo quindi una riorganizzazione del sé.


Freud e le nuove conferme scientifiche

Le nuove tecniche di neuroimaging provano gli effetti sul nostro cervello delle terapie psicoanalitiche, confermando le teorie del maestro viennese.

Sigmund Freud aveva ragione: le nuove ricerche lo sostengono
di Paola Emilia Cicerone

Saranno le neuroscienze a salvare la psicoanalisi?
Se fino a qualche anno fa le teorie di Freud sembravano in procinto di soccombere sotto il peso del progresso scientifico, oggi proprio le tecniche di neuroimaging le rivalutano, confermandone la validità. È nato così un nuovo filone di ricerca che indaga le basi fisiologiche dei cambiamenti prodotti nel cervello dalle terapie psicoanalitiche, con l’obiettivo di individuare le radici fisiologiche dei concetti base della psicoanalisi. Come racconta la scrittrice americana Casey Schwartz nel saggio "In the Mind Fields: Exploring the New Science of Neuropsychoanalysis".

Una novità radicale?
In realtà Freud stesso nasce come neurologo, interessato a studiare la struttura del cervello, nonostante all’epoca le neuroscienze fossero agli inizi e l’esistenza stessa dei neuroni fosse ancora discussa. Oggi, osserva lo psicoanalista Amedeo Falci, coordinatore del gruppo Psicoanalisi e Neuroscienze della Società Psicoanalitica Italiana, «sono sempre di più gli psicoanalisti convinti che gli strumenti offerti dalle neuroscienze siano indispensabili per il futuro della psicoanalisi».

Per vedere come cambia il cervello prima e dopo la terapia, si utilizzano soprattutto tecniche come la tomografia a emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Generalmente si lavora con pazienti che hanno seguito psicoterapie brevi di orientamento psicoanalitico, per evitare i tempi lunghi della psicoanalisi classica. «In questo modo è stato possibile verificare che la terapia della parola aumenta le connessioni tra i neuroni, favorendo la riorganizzazione del sé, inteso come unità cervello-mente», afferma Falci. Ovviamente le tecniche di imaging non fotografano il pensiero: «Servono a misurare l’attivazione delle diverse aree cerebrali, analizzate su base statistica». Eppure i risultati sono molto interessanti.

Ricerche in corso negli Stati Uniti e in Italia

Negli Stati Uniti, gli psicoanalisti Andrew Gerber della Columbia University e Bradley Peterson del Children’s Hospital di Los Angeles collaborano da oltre un decennio per confermare fisiologicamente i cambiamenti riscontrati durante le sedute. «Lavorando con i pazienti ci rendiamo conto quotidianamente che la loro mente cambia», spiega Gerber: «È un dato di fatto, la sfida è capire cosa significhi».

È nato così un progetto che analizza i cambiamenti cerebrali durante la terapia, una sorta di riassetto dell’attività cerebrale che l’analista americano paragona «alla “ricottura” di molecole surriscaldate e poi riportate a uno stato più stabile». Inoltre, il convegno del Centro Milanese di Psicoanalisi dedicato a "L’esperienza delirante" ha ospitato il neuroscienziato Georg Northoff, che tramite neuroimaging ha mostrato come si manifestano nel cervello le allucinazioni vissute dai pazienti psicotici.

Altri studiosi sono andati ancora oltre. Come Mark Solms, lo psicoanalista e neuroscienziato sudafricano che ha revisionato la traduzione inglese delle opere di Freud. Solms ha osservato in pazienti con una lesione all’emisfero destro del cervello un atteggiamento distaccato dalla realtà, simile al narcisismo descritto da Freud. Ne ha concluso che l’emisfero destro definisce i confini tra noi stessi e il mondo, distorcendoli in caso di lesioni. Una tesi discussa davanti alla Società psicoanalitica di New York, un baluardo della psicoanalisi tradizionale. «Oggi la neuropsicoanalisi è una realtà riconosciuta anche dall’International Psychoanalytical Association, l’associazione dei freudiani», spiega Falci.

Le posizioni di Otto Kernberg

Queste teorie innovative trovano il sostegno anche di esperti come Otto Kernberg, noto per i suoi studi sui pazienti con gravi disturbi della personalità. Kernberg utilizza il neuroimaging per osservare le modifiche dell’attività cerebrale coerenti con il comportamento dei pazienti, riscontrando un’intensificazione dell’attività dell’amigdala e una riduzione dell’attività della corteccia prefrontale.

Secondo Kernberg, «la psicoanalisi è stata limitata in passato per aver ignorato le basi biologiche del funzionamento mentale, rinunciando al dialogo con le altre scienze».

Conclusioni

Se l’obiettivo di Freud era dimostrare l’importanza dell’inconscio, le neuroscienze confermano che gran parte dell’attività mentale avviene sotto il livello di coscienza. «La sfida ora è spiegare con gli strumenti neuroscientifici cosa sia la coscienza», osserva Falci. Gli alfieri della neuropsicoanalisi sono convinti che lo scopritore dell’inconscio sarebbe dalla loro parte: «Freud attendeva il momento in cui le sue teorie si sarebbero integrate con le scoperte neuroscientifiche», conclude Peterson: «Se fosse vivo oggi, lavorerebbe con noi».

Paola Emilia Cicerone – tratto da L’Espresso.

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