Buenos Aires, una capitale sul lettino. Qui tutti vanno dallo psicoanalista

L’Argentina ha il record degli psicologi. Non è strano: è il lascito di dittatura e crisi. E di famiglie che conservano legami stretti. A volte soffocanti

Rielaborazione a cura di dr.ssa Scattola Sabina

Vi propongo qui di seguito un articolo di respiro culturale internazionale rispetto al ns costume italiano che vede nelle persone che vanno dallo psicologo e intraprendono una terapia ancora come degli “alieni”, definendoli dei “pazzi” da cui stare alla larga.
Nel ns Paese i pregiudizi verso chi richiede un trattamento psicologico sono ancora molti e c’è molta confusione frutto di una scarsa conoscenza. Spesso gli psicologi-psicoterapeuti vengono confusi con gli psichiatri che prescrivono farmaci sulla base di una rilevazione sintomatica manifesta di disturbi molto gravi, il più delle volte ben distanti dalle problematiche intrapsichiche e interpersonali portate in uno studio psicoanalitico. Altre volte gli psicologi-psicoterapeuti vengono assimilati a correnti new age che propongono pratiche molto discutibili che fioriscono senza alcuna validità scientifica ma come frutto di una più o meno estrosa creatività.
Ad inizio 2016 è uscito un interessantissimo articolo sull’Internazionale che rivaluta appieno la terapia psicoanalitica come trattamento non solo con rigorosi criteri e fondamenti teorico-clinici ma anche con risultati di efficacia a lungo termine rispetto alle altre terapie.
Alla fine di questo articolo vi pongo alcuni interrogativi per aprire qualche spazio di riflessione e la terapia psicodinamica quale strumento scientifico per cercare di trovare una risposta per affrontare al meglio certe questioni psicosociali in cui volenti e nolenti siamo immersi in questa contemporaneità.

Gruppo analisi

Di Ilaria Morani

Gloria Scotti ci ha messo un po’ a uscire dalla sua stanza. Se ne stava aggrovigliata sotto le coperte con le imposte delle finestre chiuse, così da non fare entrare nemmeno un raggio di sole. Ventotto anni, genitori separati, niente lavoro, per metà italiana. Poi un giorno ha infilato un paio di jeans e ha suonato al campanello di uno psicoanalista. Da un anno ci va una volta a settimana, si sdraia sul lettino come se fosse nella sua camera ma lo studio è invaso di luce e parla di cosa la rende così triste. Nessuna vergogna: «Tutti i miei amici ci vanno, a Buenos Aires è la norma». Ed è vero. Non a caso qui, nella capitale federale argentina, il 13 ottobre è stato istituito il Día del psicólogo, le facoltà che laureano in questa disciplina si moltiplicano e sempre più stranieri arrivano per farsi curare. È la città con il più alto numero di psicologi per abitante, un primato di cui gli argentini vanno piuttosto fieri.
Un famoso terapeuta, Gabriel Rolon, autore di numerosi saggi ha anche trasformato uno dei suoi scritti in una serie tv Historias de divano, seguitissima. Il cuore del quartiere di Palermo con i suoi baretti alla moda, i graffiti e le villette con giardino è stato ribattezzato negli anni “Villa Freud”. Nel bar Sigi, all’angolo di Plaza Guemes, una volta c’era un grande ritratto del maestro della psicoanalisi e in questa zona c’è la più alta concentrazione di psicologi della città. Andare in terapia non è un segreto, un fatto per cui provare vergogna, come in altri Paesi. Anzi: «È argomento di conversazione quotidiana, è parte del nostro dna» dice Gloria.
ESSERE IN ANALISI? UN MOTIVO D’ORGOGLIO
Laura, una guida turistica, ci va da quando ha divorziato («felicemente») dal marito, per capire come gestire la nuova famiglia che si è creata quando si è risposata con un uomo che aveva già tre figli. Difficile trovare un porteño – così si definiscono gli abitanti di Buenos Aires – che non sia stato o non stia per andare in analisi. «Siamo isterici» spiega un tassista. «La nostra economia va in crisi ogni due anni. Abbiamo vissuto la dittatura. E la città cambia troppo in fretta. Non è possibile sopportare tutto senza farci domande».
Cristián Cervo, psicoterapeuta presso strutture pubbliche ma anche in centri privati come “Casa Escuela”, sostiene che «Negli anni Settanta durante la dittatura non si poteva studiare psicologia, la gente aveva difficoltà a parlare in pubblico dei propri sentimenti, così gli studi medici hanno iniziato ad affollarsi poiché erano gli unici luoghi dove si poteva aprire il cuore». Benché la maggior parte delle persone abbia origini straniere (molti i discendenti da emigrati italiani), pochi conoscono qualcosa del Paese di provenienza. Anche questa “confusione” culturale ha incrementato una certa ansia collettiva e il bisogno di cercare un aiuto.
Argentini sì, ma con cognomi e parenti che magari masticano ancora qualche frase in italiano, cucinano spaghetti e nel portafoglio conservano foto della Costiera amalfitana o del mare calabro come santini, sognando di poter tornare un giorno nel Paese natìo.

BOOM DI PAZIENTI DOPO LA CRISI DEL 2001
Modesto Alonso è professore di psicologia all’università di Buenos Aires e da anni monitora il numero dei terapeuti in Argentina. «Dalle 40 università del Paese ogni anno escono 6mila laureati. I professionisti sono ormai 85 mila, l’80 per cento donne. In gran parte operano a Buenos Aires, ma anche a Cordoba e a Mendoza la concentrazione è alta. In media, in Argentina si conta uno psicoterapeuta ogni 485 abitanti, ma in alcune regioni si arriva a un terapeuta ogni 100 persone. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’Argentina quanto a diffusione della psicoterapia supera ogni altro stato, persino i Paesi del Nord Europa come la Finlandia (un terapeuta ogni 1.756 abitanti) e la Norvegia (uno ogni 1.842). Giusto per avere un paragone, negli Stati Uniti opera un terapeuta ogni 3.376 abitanti e in Francia uno ogni 9.285 cittadini.
Lo Stato garantisce prestazioni gratuite presso gli ospedali, ma la maggior parte dei pazienti preferisce gli studi privati. Se in ospedale la visita dura 30 minuti, dai privati è di 45 e l’onorario varia molto: si va dall’equivalente di 20 euro fino a 150 euro per i professionisti più noti. L’approccio psicodinamico è il più utilizzato, ma è molto forte anche la psicologia della Gestalt, incentrata sui temi dell’esperienza. «La psicoterapia offre un metodo per comprendere la realtà» spiega la dottoressa María de Pilar Casares. «Io lavoro sull’analisi del subconscio, sulla sfera sociale e familiare e sui comportamenti che queste generano. Ho pazienti di ogni strato sociale e dopo la crisi del 2001 sono notevolmente aumentati».
Kita Cá, docente universitaria, coordina un centro clinico e di studio a Buenos Aires, la “Casa de Floresta”: «Come argentini, abbiamo un’educazione vicina a quella di altri popoli europei: il fulcro dei nostri rapporti è la famiglia. In altri Paesi del Sud America, invece, le persone originariamente erano più legate alla natura che al nucleo famigliare. La psicoanalisi esiste per rendere le persone libere dall’autorità della famiglia, come diceva Freud, ma gli effetti della globalizzazione ci confondono, fatichiamo a ritrovare noi stessi. Gli argentini vivono questo conflitto, che deriva dall’essere liberi, ma all’interno di una società che si sta trasformando profondamente».

ALCUNE RIFLESSIONI INTERROGATIVE di Sabina Scattola

E noi italiani, che atteggiamento abbiamo di fronte agli effetti esistenziali di una società in profondo cambiamento e che ci mette ogni giorno a dura prova sul piano personale e delle relazioni con gli altri, nei rapporti di coppia, sul lavoro, in famiglia nel nostro ruolo di genitori, a volte enfatizzando altre negando il confronto generazionale?
Come reagiamo di fronte ad una società che vive di minacce, di conseguenti paure, di paranoie e di noia senza più miti universali, o nella quale siamo vittime di un Io idealizzato e virtuale, che oscura il ns Io reale e ci allontana da ogni legame autentico?
Come viviamo veramente in un mondo in cui non conosciamo più la gioia delle cose durevoli, frutto di costante impegno, in cui i legami sono stati sostituiti dalle “connessioni”?
Che effetto avrà su di noi il non riuscire ad esprimere i propri sentimenti autentici all’Altro perché considerati debolezze in una società in cui connettersi proponendosi per quello che non si è e disconettersi è facile, veloce ed è solo un gioco, mentre farci amici offline richiede impegno?
E quando le emozioni più profonde connotanti la ns soggettività busseranno alla porta presentandoci il conto della vita fino ad allora condotta, saremo capaci di farle entrare, di farle accomodare nel ns spazio intimo e iniziare un dialogo interiore o le espelleremo con agiti più o meno violenti?